24/09/2021

Storia dell’Ospedale di Padova

Tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento a Padova, per una popolazione di circa 40mila unità, sono disponibili una decina di hospitali. Si trovano sia dentro che fuori le antiche porte della città, un po’ in tutte le zone: l’ospedale di San Daniele, di San Giacomo, di San Violino, di San Gregorio, di Sant’Orsola, della S.S. Trinità, un ospitale di Santa Maria e quello di San Michele o San Leonino. Il loro nome rende palese la loro origine religiosa. Si tratta spesso di ricoveri, con ristrette possibilità di ospitare i pazienti (10-20 letti), le attrezzature sono modeste e l’organizzazione è basata sulle opere di carità.

Nel Cinquento lo Studio Padovano, che detiene il primato nel campo della ricerca anatomica, è particolarmente florido. Durante questo secolo, il quattrocentesco Ospedale di San Francesco Grande acquista fama europea: si tratta del progenitore dell’attuale complesso clinico-ospedaliero. Al suo interno si aprono diversi spazi: saloni per le riunioni, le abitazioni per il Priore e altri ufficiali di governo, le cucine, la stalla, due pozzi, l’orto, nonché le abitazioni del personale medico e sanitario. Lo Spedale di San Francesco Grande è il primo nella storia dell’insegnamento universitario, in cui si attua la clinicizzazione (trasformazione di un ospedale o di un reparto ospedaliero in una clinica di tipo universitario). Dal 1543 al 1546, nell’Università di Padova trionfano l’oggettività e il metodo dimostrativo.

Spedale di San Francesco Grande - particolare dell'affresco del Varotari

Nel Settecento il numero dei pazienti accolti dall’ospedale cresce: nel giro di una sessantina d’anni il numero dei malati raddoppia. Le strutture del grande ospedale sono sempre meno adatte alle nuove esigenze, l’edificio è vecchio e l’amministrazione non riesce più a far fronte alle spese. Così, dopo tre secoli e mezzo di attività, l’ospedale di San Francesco chiude i battenti.

Entra in gioco il Vescovo Nicolò Antonio Giustiniani col suo sogno di dotare Padova di un grande e confortevole ospedale. L’area su cui sarebbe sorto è quella del Collegio dei padri Gesuiti, esiliati dalla Repubblica Veneta. L’architetto che si occupa dell’opera è Domenico Cerato: per i contemporanei, in quanto a proporzioni e funzionalità, il nuovo ospedale regge il confronto con i più celebri ospedali europei. È una struttura moderna in cui tutti, a prescindere dalla loro condizione economica, possono ricevere le cure di cui hanno bisogno: è il primo ospedale pubblico della storia. Per la sua unicità, al tempo, poteva essere considerato il prototipo del nosocomio europeo.

Moro, 1842 - scorcio dell'Ospedale Giustinianeo (a destra) con il canale San Massimo e i mulini dei Gesuiti

La prima pietra dell’ospedale Giustinianeo viene posta il 20 dicembre 1778. Ricordando quella memorabile data, nella serie cronologica dei vescovi di Padova, lo stesso Giustiniani ringrazia la “divina Provvidenza” e i “pii fedeli” che, unitamente ai suoi sforzi, resero possibile la realizzazione di qualcosa di straordinario e impensabile fino a qualche anno prima. Il vescovo, per far andare avanti i lavori, non si limita a sollecitare l’elargizione di elemosine, né a vendere la propria argenteria, ma si inventa persino una lotteria finalizzata totalmente al finanziamento della costruzione dell’ospedale. L’inaugurazione avviene il 29 marzo 1798, quando i padovani possono finalmente ammirare il risultato delle loro offerte, della cooperazione della città sotto la guida di un vescovo amato e che mai si tirò indietro quando si trattava di dare il buon esempio.

metà Ottocento l’edificio è in grado di ricoverare 500 malati contemporaneamente, annualmente, in media, ne accoglie 3338. Hanno diritto al trattamento gratuito i poveri della città e del circondario esterno, mentre i pazienti provenienti dalla provincia pagano 33,3£ al giorno. Il personale ospedaliero, nel 1879, è costituito da tre primari medici, un primario chirurgo e due primari onorari, professori dell’Università di Padova; inoltre è presente il personale della farmacia. La direzione dell’ospedale è responsabilità del Medico Capo.

L’ambiente ospedaliero gode dell’influenza del clima universitario. La relazione tra i due ambienti è proficua, le attività medica, didattica e di ricerca si intrecciano permettendo l’affermazione delle specialità cliniche. Già dalla prima metà dell’Ottocento sono funzionanti la clinica medica e chirurgica, pochi anni dopo sono operanti quella ostetrica e quella oculistica.

Lo sviluppo scientifico vede l’introduzione dell’anestesia e dell’asepsi. Tra il 1873 e il 1883 viene messo in opera un programma di miglioramenti dell’edificio e di bonifica igienica degli ambienti. I vaiuolosi vengono allontanati dall’ospedale e nel loro reparto vengono spostati i maniaci, agli scabbiosi e ai luetici viene riservato un reparto speciale. Viene migliorato ed esteso il riscaldamento e perfezionato l’incanalamento delle acque piovane, nonché acquistate 500 lettiere in ferro, riforniti gli strumenti chirurgici e dotati i laboratori di microscopi e altro materiale.

Fronte su via Ospedale, primi del '900

All’inizio del Novecento l’ospedale è inadeguato per spazio e per esigenze igieniche, le attrezzature sono vetuste. I pazienti sono ammassati e spesso mescolati fra loro o tenuti in anguste e poco salubri cantine. È necessario ampliare il corpo principale: man mano, l’erezione graduale di una serie di padiglioni (come la divisione dermopatica del 1909), secondo la disponibilità di fondi e sfruttando allo stesso tempo le parti ancora valide del vecchio ospedale, si concretizza nell’imponente Complesso clinico-ospedaliero. 

credits: La scienza nascosta nei luoghi di Padova: il Giustinianeo, l’ospedale della città; Alessandra Saiu, Il Bo Live, 1 marzo 2019
Ospedale Giustinianeo (a sinistra) negli anni '30 del '900, è ancora presente il canale San Massimo; in lontananza si scorge la Scuola Galileiana

Tra gli anni ’50 e ’60 molti canali di Padova furono tombinati e vennero costruite delle strade al di sopra. Sono degli esempi Riviera Tito Livio e Riviera dei Ponti Romani (il canale delle quali costituisce il cosiddetto Naviglio Interno), l’Alicorno passante tra Prato della Valle e il Foro Boario che ha il compito di raccogliere le acque dell’Isola Memmia e proprio il canale San Massimo passante davanti alla faccia posteriore del Giustinianeo.
Seguono due immagini che mostrano i lavori di tombinamento davanti al Giustinianeo.

Mappa dei canali di Padova, evidenziato in blu il canale San Massimo

L’interramento del canale davanti alla facciata sud del Giustinianeo si rese necessario per permettere l’attuazione del piano di ampliamento del Complesso ospedaliero.
Furono inizialmente costruiti due edifici universitari: la clinica pediatrica (1952-56) su progetto di Daniele Calabi e la clinica ostetrico – ginecologica (1953-56) su progetto di Giulio Brunetta. Furono poi realizzati: il Policlinico universitario (1957-61) su progetto di Calabi e Brunetta; il Monoblocco ospedaliero (1960-68) progettato da Francesco Mansutti e Gino Miozzo sulla base di un piano preliminare studiato da Calabi. Al centro, tra i due complessi, fu collocato un blocco con gli ingressi e il pronto soccorso, completato nel 1967 con la realizzazione, al termine di un lungo corridoio, di una cappella.

Il Policlinico universitario quasi terminato, i lavori per il Monoblocco sono appena iniziati (1960)
Il Monoblocco poco prima del termine della sua costruzione (1967)
Vista dal Monoblocco negli anni '60; in lontanaza si vede Santa Giustina (a sinistra) e Sant'Antonio (a destra); più in basso rispetto a Sant'Antonio, Parco Treves
Il Complesso ospedialiero lato ovest, si vedono il Policlinico, il Monoblocco e il Giustinianeo (1969)
L'Ospedale di Padova oggi, col Policlinico a sinistra e il Monoblocco a destra